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Una questione di carattere

“Io sono un dilettante rasoterra al confronto di Adriano Celentano.”

— Bruno Vespa

 

Si potrebbe farne una questione di puntualità o di format, ma il libro-panettone di Bruno Vespa che si affaccia al Natale è confortante come solo gli appuntamenti nostalgici sanno essere, come le tradizioni che non tradiscono mai, come una manifestazione no-vax il sabato pomeriggio. Come la morte.

 

E dunque anche quest’anno arriva il momento del tomo vespiano — quando li scriverà tutti sti libri, manco Ken Follett — in bella mostra nelle vetrine dei circuiti commerciali. In un mondo in cui non si sa più niente, almeno Vespa non delude, eroico nel ribadire la propria presenza in cima alle classifiche dicembrine, con la quarta di copertina immancabilmente dedicata al suo bel faccione, i nei più densi del codice a barre.

 

Ma è sulla copertina della sua ultima fatica che vogliamo soffermarci, perché chi pensa che Vespa possa mirare solamente all’intrattenimento della celebre casalinga di Voghera si sbaglia: questa meraviglia della grafica editoriale riguarda in primis noi comunicatori.

 

Eccola qua:

 

Partiamo dall’ovvio: il nome dell’autore occupa un terzo abbondante dell’impaginato; è ragionevole, un libro con un titolo del genere, se scritto da chiunque altro, non si troverebbe che nell’angolo più impolverato di una libreria universitaria. Dunque sì, è solo grazie alla visibilità mediatica del giornalista che si acquisterebbero 450 pagine per 20€ della Mondadori.

 

Poi il mascellone di Buonanima, che vabbè non ci dilunghiamo, ma recentemente fa furore nell’immaginario di una bella fetta del paese. La peggiore.

 

E dunque il titolo. Cercheremo di non entrare nel merito e di soffermarci invece sui pesi dedicati ai caratteri.

 

“Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando)”

 

No, non ce la faccio, due parole sul merito, invece: ma-che-titolo-è?! La linea che Vespa traccia è fra le più bizzarre; un collegamento che unirebbe due momenti della storia italiana che c’azzeccano come Selvaggia Lucarelli al Circo Massimo. Intanto la prima parte è pretestuosa, come se Vespa avesse qualcosa di cui scusarsi… forse del prequel dell’anno scorso intitolato: “Perché l’Italia amò Mussolini (e come è sopravvissuta alla dittatura del virus)”; altro titolo sci-fi che Asimov scansati proprio. Libro sul quale peraltro ho avuto modo di soffermarmi in questo articolo. Perché pare proprio che questa cosa della parentesi in occhiello a Vespa sia sfuggita di mano. Attendiamo il terzo capitolo della saga per Natale 2022 dal titolo “Perché nell’Arrabbiata la penna ci va rigata (e come Burioni ha salvato lo share di Rai3)”.

 

Insomma, venendo all’oggetto dell’articolo: i pesi.

 

Perché (piccolo)

 

Mussolini (grandissimo)

 

Rovinò (piccino picciò)

 

L’Italia (grande)

 

e come Draghi la sta risanando (minuscolissimo, quasi illeggibile)

 

Perché: avverbio che sa già di didattico e potenzialmente palloso — questo lo mettiamo piccolino sotto al busto del Mascellone.

 

Mussolini: e cavalchiamola quest’onda revival, no? Lui mettiamolo bello grosso, che si legga bene anche da lontano, fa sempre effetto e piace sia al lettore più nostalgico, sia al sinistrorso col pallino della memoria.

 

Rovinò: ahia, qui ci sbilanciamo, questo invece rimettiamolo piccolino che non si sa mai. Che poi — “rovinare”, mi pare un parolone, no?

 

L’Italia: Nell’anno in cui abbiamo vinto gli europei di calcio, siamo arrivati in semifinale a Wimbledon, Marc Jacobs, i Måneskin, chi più ne ha più ne metta, vuoi che questa bella parola possa non trovare il giusto spazio sulla copertina del libro evento della Natività? BELLO GRANDE, Bruno, BELLO GRANDE!

 

E poi, laggiù, nei necrologi, come nei disclaimer delle pubblicità dei farmaci, Vespa ci sgancia la bomba, rimescola le carte e mette Mario Draghi nella stessa frase di Mussolini. Signore e signori, questo sì che è giornalismo! Poi però qualcuno in Mondadori deve aver ricordato a Vespa che il 10% abbondante degli italiani ancora non si è vaccinato. Vuoi perderti quel 10%? (vai mica a vedere che ci siano spettatori di Porta a Porta) Pensandoci bene, questa ultima mettiamola piccola, no più piccola, anzi più piccola ancora; ecco sì, così, laggiù, che proprio bisogna andarci vicini vicini per leggerla.

 

La scelta – perché di una scelta si tratta, teniamolo bene a mente – dei pesi conferiti alle ultime tre fatiche di Bruno Vespa, non possono scivolare via indisturbate. Guardiamole una di fianco all’altra.

 

Prima di tutto la domanda sorge spontanea: Ma Bruno Vespa è uno storico? No, perché tre anni dedicati interamente a questo popò di ricerca, manco Barbero. Secondo: si vede bene come – oltre al rilievo spasmodico concesso al nome dell’autore – Vespa insista nel volerci dare risposte a domande che nessuno gli ha posto. Questo reiterato uso dell’avverbio si confà poco a un saggio firmato da un non addetto ai lavori. Mi spiego: se voglio sapere perché l’Italia amò Mussolini o perché Mussolini rovinò l’Italia, beh forse Bruno Vespa non sarebbe la prima persona alla quale mi rivolgerei. Ma magari sono io eh. E su questo il grafico in Mondadori sembra essere d’accordo con me. I maiuscoli, poi, per tre anni di seguito risaltano ITALIA e MUSSOLINI (o FASCISMO, a scelta), lasciando “rovinò”, “amò” e “diventò” schiacciati sotto il peso della Patria. Poi Mario Draghi e il virus, così, perché no, accazzodicane; ma piccini, in fondo in fondo.

 

La verità è che sul rapporto tra gli italiani e Benito Mussolini, negli ultimi sessant’anni, si sono espresse fonti ben più autorevoli e in maniera più che esaustiva. Questa insistenza nel voler continuare a propinarci la retorica patriottica a caratteri cubitali, anno dopo anno, nelle vetrine di mezzo paese – specialmente in un periodo di incertezza politica e con il risorgere di vecchie ideologie violente – è una forzatura morale, prima che editoriale.

 

Mettendo un attimo da parte il peso specifico del Vespa giornalista (sigh) e del Vespa storico (doppio-sigh) il Vespa comunicatore potrebbe fare uno sforzicino in più per dare il giusto peso alle parole, prendendosi la responsabilità del messaggio che vuole veicolare, specialmente nel contesto storico e politico attuale.

 

In un periodo così felice per l’editoria — uno dei pochi trend positivi registrati in seguito alla pandemia; “Ha fatto anche cose buone” (il virus), direbbe qualcuno — possiamo credere che sotto l’albero di Natale ci possano essere libri più equilibrati dell’equivalente di “Natale in lockdown” in versione cartacea.

 

Non per niente l’altro attesissimo tomo è Romano Prodi a sganciarlo, con l’autobiografia che ogni italiano aspettava col cuore in gola: “Strana vita, la mia” (Solferino Editore). Che se avesse chiesto a Bruno Vespa un consiglio, forse in fondo, piccino picciò, ci avrebbe aggiunto una parentesi: “Come rovinare il Natale ai parenti più odiosi, regalando il libro più noioso del decennio.”

 

E quando si tratta di carattere, si sa, Prodi non è secondo a nessuno. Nemmeno a Bruno Vespa.

 

Giulio Rubinelli

Creative Director no panic agency

Brand Language Director no panic & act

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