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In missione (sui social) per conto di Dio

“Io di voi ho sempre parlato bene, 

ho sempre avuto ammirazione per voi, 

per voi suore, voi siete così cattoliche! 

Voi siete sposate con il “Pezzo Grosso”, con il Salvatore, 

siete tutte sue mogli, è una cosa meravigliosa.

 

— Deloris (Whoopi Goldberg) , Sister Act (1992)

 

 

 

In uno studio del 2019 intitolato “L’archipel français”, l’autore Jérôme Fourquet stima che l’ultimo battesimo in Francia avrà luogo nel 2048, l’ultimo matrimonio cattolico nel 2031 e la scomparsa dell’ultimo prete avverrà nel 2044. Non male per la “figlia prediletta della Chiesa”. Il declino del brand più antico e longevo della storia – la regina dei “lovemarks” direbbe qualcuno – pare irreparabile e questo in particolare per la sua caparbia resistenza al cambiamento. Infondo si sa che il rebranding è una pratica delicatissima: maggiore l’heritage, più l’intervento deve essere progressivo e scomposto in ritocchi minimi per risultare fin quasi impercettibile. Un cambiamento drastico potrebbe rendere il marchio irriconoscibile, non cambiarlo invece mai rischierebbe di renderlo alieno alla contemporaneità. La Chiesa Cattolica ha peccato, come tanti marchi, di presunzione nel ritenersi indispensabile (mi verrebbe da paragonarla in questo atteggiamento alla stessa città che la ospita, la cui self-confidence la spinge a credere che, vada come vada, i turisti ci verranno sempre, a prescindere dal suo stato), disinteressandosi della crescente concorrenza. Non basta ciclicamente eleggere un nuovo CEO carismatico per rafforzare la propria awareness, se la brand platform non poggia su una strategia solida e coerente. Per questo stupisce che un marchio con numeri drammatici (ma una certa inspiegabile influenza nel BTL) non abbia mai realmente pensato di dedicare risorse e attenzioni al proprio marketing, quello più spiccio e contemporaneo. 

 

 

 

 

Questa lacuna non è sfuggita a Sister Monica Clare, suorina dell’ordine anglicano di San Giovanni Battista e membro del Mendham Township choir (New Jersey). 56 anni di età e un passato, antecedente ai voti, da musicista e stand-up comedian, oggi volto religioso della comunità su TikTok. @nunsenseforthepeople (un’operazione già meravigliosa sin dal naming, giocando sul nonsense e l’aspetto divulgativo rispetto alle nun, ovvero le suore) è il nome del suo profilo, dedicato alla #ConventLife e raccoglie centinaia di migliaia di reazioni. “Lo ripeto in continuazione alle sorelle: fatevi TikTok! Se ci nascondiamo, ci estingueremo,” rivela al New York Times, mostrando una lucidità che tanto manca alle sue controparti italiane, ancora seriose, ancora austere, ancora distanti. Sul social, Monica Clare racconta in maniera leggera la vita parrocchiale (“cosa tengono in tasca le suore?”), mostrandone la quotidianità senza filtri: la cucina, lo svago, la preghiera: un modo per spalancare i portoni della Chiesa a fedeli e curiosi e generare interesse intorno a una professione in via d’estinzione. 

 

Chi ha buona memoria, sa che questa popolarizzazione della figura monastica non è cosa nuova, anche prima dell’avvento dei social: operazioni come il cult Sister Act – che tuttə almeno una volta abbiamo visto – o il travolgente successo ottenuto da Suor Cristina a The Voice nel 2014 (quando fece commuovere un incredulo J-Ax con una cover di Alicia Keys), appartengono a quei fenomeni che hanno saputo far breccia nel pubblico generalista per sforzarsi di creare trasparenza in un ambito che si è distinto per la propria riservatezza. 

 

 

 

 

Incarnano, figure come quella di Monica Clare, dei veri e propri influencer, operando sul marketing digitale in modo (pare) spontaneo e facendo della propria passione per l’Altissimo un brand endorsement preziosissimo che, se riconosciuto e sponsorizzato, sarebbe perfino in grado di rinvigorire la vocazione per il sacerdozio. 

Chiunque faccia il nostro mestiere si è trovato almeno una volta a pensare alla religione come a un marchio e a fantasticare sul rebranding della Chiesa cattolica. The Young Pope, nel suo modo tutto sorrentiniano, aveva implicitamente suggerito qualcosa di simile e – come si conviene all’immaginario comune intorno al marketing – in ottica del tutto cinica e a scopi oscuri; ma di nuovo (è un po’ il vezzo di questa nostra linea editoriale): cosa succederebbe se la Chiesa si affidasse a dei professionisti della comunicazione a fin di bene? 

Ed è giusto che questo articolo si concluda con una domanda aperta. In fondo è una questione di fede, no? 

 

 

 

Giulio Rubinelli

Creative Director no panic agency

Brand Language Director no panic & act

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