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Dove non arriva il marketing

Alcune strade portano più ad un destino che a una destinazione.

— Jules Verne

 

 

Abbiamo avuto ampiamente modo, nell’arco dell’ultimo mese, di apprezzare i tanti movimenti compiuti dai brand nei confronti del conflitto in atto in Ucraina. Ci siamo già dilungati sul distinguo tra quei marchi che si sono limitati a esprimere generica solidarietà all’Ucraina, quelli che hanno preferito semplicemente pronunciarsi contro la guerra (in generale) e quelle aziende che, per contro, hanno scelto di ovviare l’ukraine-washing e a post social e loghi color giallo-blu, hanno preferito sporcarsi le mani e passare all’azione (con un ulteriore disclaimer che vorrebbe discernere tra coloro che hanno interrotto i ponti commerciali con Mosca per motivi di natura logistica, piuttosto che per ragioni etiche e morali – ma questa è un’altra storia che potete approfondire qui).

 

Più di tutte queste numerose iniziative, tuttavia, forse sono quelle che trascendono il mondo dei brand a colpire di più per iniziativa ed efficacia; a partire da una delle creatività belliche più intelligenti, proveniente dagli ucraini stessi, che per confondere l’invasore hanno modificato la cartellonistica autostradale prima, aggiungendoci un tocco di genio non indifferente, ovvero sostituendo le destinazioni con una sola, identica per ogni direzione: l’Aia, sede del Tribunale per i Crimini Internazionali. Chapeau.

Ma ancora di più, se vogliamo parlare di efficacia, non possiamo prescindere da un elogio per quella scienza che, in ogni conflitto, ha sempre dato un apporto e lasciato un segno determinante più di qualsiasi altro: la toponomastica.

In ogni epoca, lo studio della nomenclatura – quando dal punto di vista linguistico, quando da quello puramente etico – ha contribuito a decidere chi o che cosa dovesse venire ricordato, celebrato, ammonito.

 

Per quanto riguarda l’Italia, è imprescindibile notare come il ruolo che abbia avuto la toponomastica, prima, durante e dopo l’ultima guerra che ci avvisti coinvolti – il secondo conflitto mondiale – racconti per filo e per segno tutto ciò che c’è da sapere ssh quel preciso periodo storico, raccontandoci più di tanti libri di storia, chi eravamo e, dunque, chi siamo.

Basti pensare al peso che è stato dato durante il Ventennio all’italianizzazione delle località lungo tutta la penisola, dal Trentino Alto Adige fino alla Sardegna, per allineare la lingua italica a un canone unico, limando le specificità territoriali e identitarie di gruppi linguistici ritenuti ambigui e promiscui.

Come chiamiamo un posto, racconta molto di noi come individui e ci permette di identificarci con quel luogo, permettendoci di sentircene parte integrante.

Un ragionamento che non è sfuggito a numerose località europee, che a fronte dell’invasione dell’Ucraina, hanno avuto la prontezza di riflessi di agire di conseguenza, andando a colpire le istituzioni russe lì dove fa più male, ma soprattutto dove queste non possono appellarsi in alcun modo a ciò che non è minimamente in loro potere.

Parliamo nello specifico del sindaco di Vilnius, che il 10 marzo ha deciso di cambiare nome alla via in cui si trova l’ambasciata della Federazione Russa, rinominandola in “Ukrainian Heroes Street”, con la spiegazione – usando le parole del sindaco Remigijus Simasius stesso – che “il biglietto da visita di ogni impiegato dell’ambasciata russa sarà da oggi corredato di una nota che onora i combattenti ucraini e tutti dovranno pensare alle atrocità commesse dal regime russo contro la pacifica nazione ucraina quando scriveranno il nome di questa strada”.

Sindaco di Vilnius: 1 – Marketing: 0.

Si tratta di un’operazione che a quanto pare ha riscosso il desiderato fastidio da parte delle autorità russe, spronando così altre municipalità a seguire l’esempio di Vilnius, vale a dire la vicina Riga, ma anche la città di Tirana (“Free Ukraine Street”), suscitando altrettanto dibattito in altre capitali europee che tuttavia, per ora, hanno rigettato la proposta.

 

 

 

E dunque, dove non arriva il marketing – che, come sappiamo, segue logiche commerciali e non di bontà d’animo – arriva invece la toponomastica. Non servirà a vincere le guerre, ma più delle tasche, a volte, sono le ferite nell’orgoglio quelle che impiegano di più a rimarginarsi.

Quando questa guerra voluta da Putin e da lui presentata come una guerra identitaria, viene giocata sul terreno dell’identità, è lì che il dente duole ed è lì che può far male.

 

È infatti l’identità il tallone d’Achille di un regime che combatte per ristabilire il passato e l’identità antica di una terra che, invece, desidera vivere nella contemporaneità e guardare con fiducia al futuro.

Anzi, questo articolo ora lo stampiamo e glielo mandiamo via posta: via Eroi Ucraini, 2 – Vilnius.

Sai come gli rode?

 

Giulio Rubinelli

Creative Director no panic agency

Brand Language Director no panic & act

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