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Analog

“Che cosa avete contro la nostalgia? È l’unico svago che ci resta per chi è diffidente verso il futuro,” proferiva Romano, il personaggio interpretato da Carlo Verdone ne La Grande Bellezza. Diffidenti lo si è per davvero, ma apparentemente sempre meno; sempre accorti e in attesa della prossima grande rivoluzione che stravolgerà lo status quo, le nostre vite, le sorti dell’umanità. Ecco, il salto che ci ha introdotti a questo limbo di perenne attesa è spiccato come da sé, autonomamente, quasi senza che ce ne potessimo accorgere, pur essendone gli unici artefici e protagonisti.

“Prima scena.

Calciobalilla, flipper, videogioco. Prendetevi mezz’ora e passate dall’uno all’altro, in quest’ordine. Pensavate di giocare, invece avete attraversato lo spazio che separa una civiltà, quella analogica, da un’altra, quella digitale. Siete migrati in un mondo nuovo: leggero, veloce, immateriale.”

Parla di “gesto”, ma anche di “postura”, Alessandro Baricco nel suo ultimo saggio The Game (Einaudi, 2018), sforzandosi di prendere in esame la rapida transizione che ci ha condotti con un balzo dall’era analogica a quella digitale.

“Seconda scena.
Prendete l’icona che per secoli ha racchiuso in sé il senso della nostra civiltà: uomo-spada-cavallo. Confrontatela con questa: uomo-tastiera-schermo. E avrete di fronte agli occhi la mutazione in atto. Un sisma che ha ridisegnato la postura di noi umani in modo spettacolare.”

Sorprendente, vero? Eppure in questo panorama di estatica sospensione, catturati nel paradosso di un’epoca che cambia rapidamente, seppure col freno a mano tirato nell’attesa della prossima Grande-Novità, ecco che giunge il miracolo inatteso: la nostalgia [comp. del gr. νόστος «ritorno» e -algia (v. algia)]. –desiderio acuto di tornare a vivere in un luogo che è stato di soggiorno abituale e che ora è lontano.

Dunque, seppure proiettati con presunta gioia in un avvenire di stupore e meraviglie, avvertiamo la necessità di gesti antichi, che sono appartenuti ai nostri genitori e ai nostri nonni e ai loro genitori e ai loro nonni prima di loro.

Il calciobalilla – come dice Baricco – ma anche una tastiera, lo scatto di una macchina fotografica, per citarne alcuni.

Qualche anno fa incontrai Elio De Capitani – leggendario attore e regista che ha legato il proprio nome e la propria carriera all’Elfo Puccini di Milano – per intervistarlo in merito allo stato di salute del teatro italiano. Quando gli domandai se secondo lui il teatro sarebbe mai scomparso (una domanda standard e semplicistica che, tuttavia, non poteva disattendere una grande risposta), questi ci rifletté brevemente e poi disse: “Vai in un liceo e domanda a un ragazzo qualsiasi: Tu, a Londra, ci vuoi andare o vuoi vedere il DVD?”

La grande verità che sottintendeva la risposta di De Capitani alla mia domanda, era che viviamo il nostro tempo con una specie di codardia, schiacciati tra la curiosità del Grande-Nuovo e la nostalgia per ciò che naturalmente ci è stato sempre più congeniale, in pratica: con la voglia di travolgenti avventure con bellissime ventenni, ma pur fedeli alla rassicurante quotidianità con la donna che amiamo da tanti anni.

Senza cioè mai il coraggio di vivere davvero e appieno la nostra nuova digitalità.

Testimone di questa incertezza, è l’avvento di una serie di nuove app comparse sul mercato negli ultimi anni, replicanti – via via con maggiore sforzo di precisione – gesti appartenenti al passato, rassicurandoci con funzioni in grado di proiettarci in un mondo, seppure non tanto distante, che percepiamo smarrito tra le pagine ingiallite della Storia.

Si tratta in particolare di applicazioni di fotografia, per le quali – a titolo di esempio – prenderemo in analisi quella che ci appare come la più complessa e rappresentativa: Analogue (payoff: “Take photos and develop them like your Grandpa did”).

Sul sito si legge (proponiamo degli estratti):

LIKE THE GOOD OLD DAYS

A 100 years ago, when men wore hats and moustaches, and all the ladies had long dresses, taking photographs took time.
There were several reasons for this, but one was that looking at the upsidedown image on the ground glass made it a bit cumbersome.
By slowing down this process again, by imitating the large format camera, the photographer will once again spend time and actually think of how to adjust all parameters in order to take a good photograph.

ONLY MANUAL MODE

Once upon a time, when all cars were black, and this mode of transportation was less common than a horse, there were no automatic cameras.
In those days, your zoom feature relied on the muscles of your legs. Yes! You need zoom? Walk!

DARKROOM

As the red lightbulb illuminated the darkroom, letting the photographer slowly see the negative on the easel.
It took minutes until it would appear as the camera saw it.
Analogue will imitate a true darkroom, with strips to find the time and contrast.

Il linguaggio utilizzato sulla pagina di Analogue segue un copione ben preciso, in grado di rivolgersi a un pubblico (non necessariamente anziano, tutt’altro) attento e nostalgico di tanti gesti del passato.

Scattare in “grande formato” ottenendo tuttavia l’immagine – per forza di cose – sempre nel rettangolo palmare dello smartphone può sembrare bizzarro o quantomeno imbecille, eppure il piacere (la fatica!) che dà la ricerca dell’inquadratura a specchio capovolto è impareggiabile, specialmente quando, al momento dello scatto, ci si rende conto di avere trattenuto il fiato per svariati secondi. La camera oscura digitale, poi, può sembrare un giochetto per gli allocchi, ma una volta presa la dimestichezza con l’esposimetro, diventa proprio un bel gioco ritoccare la propria immagine centimetro per centimetro, piuttosto che affidarsi alle solite decine di filtri monotoni e preconfezionati.

“Perché allora non passare (o tornare) direttamente alla fotografia analogica?” potrebbero domandarsi i più e di certo a ragion veduta. Sia per il costo, sia per il tempo dello sviluppo come della stampa, certo si tratta di un gap troppo coraggioso per noi codardi coi piedi in due scarpe, ma la fotografia non è che il primo degli esempi cui il mercato sta porgendo la mano nella crescente domanda di digital-nostalgia.

Un altro fulgido campione di questa nuova nicchia è Hanx Writer, la app di Tom Hanks (sì, l’attore), che nel 2014 ha scalato tutte le classifiche degli app store.

Scriveva Silvia Malnati su Wired.it:

Con Hanx Writer si prova l’emozione di battere a macchina (suoni, carattere, layout), con l’aggiunta di alcuni vantaggi tecnologici – si possono condividere i file, allegare foto, scrivere su una vera tastiera connessa via Bluetooth, e soprattutto non bisogna usare il bianchetto per correggere, ma basta premere un tasto. […]

La app, che la star di Hollywood ha sviluppato in collaborazione con Hitchens, è certamente antesignano di questo trend che stiamo prendendo in analisi, sfruttando quanta più sensorialità possibile per risvegliare l’Ernest Hemingway che alberga in noi e che certo non si accontenta di raccogliere le proprie fatiche attraverso i tasti di un qualsiasi personal computer, ma anzi vuole un suono, un gesto, un’immagine antichi e smarriti nei meandri dell’HD-HQ nel quale viviamo, asettico, minimale, pulito e dunque – forse – noioso.

Ma attenzione! perché da qui il passo codardo è breve e si chiama Qwerkywriter.

Incredibile ma vero, QwerkyToys non ha avuto alcuna necessità di pubblicizzare il proprio prodotto tramite storytelling di alcun tipo: questa tastiera è già una narrazione di per sé.

In pratica, parafrasando Baricco, siamo sì passati dal calciobalilla al flipper al videogioco, ma la Qwerky-tastiera fa di più, aggiungendo al videogioco un joystick di metallo che si gioca premendo delle levette, collegate a delle molle, che – connesse tramite Bluetooth – lanciano una biglia digitale attraverso lo schermo.

La nostalgia canaglia raggiunge così un nuovo ed elaborato livello di furberia, rimuovendo tutti quei tratti che oggi reputeremmo “scomodi” – o quantomeno obsoleti – da oggetti cult come la macchina scrivere (cancellare a piacimento, assenza di carta, storage cloud, ecc) e ne conserva tutto il buono, inserendolo in un contesto di piacioneria digital-analogica da XXI secolo.

E lo stesso ragionamento vale per gli orologi dal quadrante a lancette (ma che, chiaramente, non perdono un secondo e non si scaricano), come anche per metronomi, ciak cinematografici e perfino clacson automobilistici (per veri nostalgici per traffico pre-ZTL).

Questo è il mondo in cui viviamo, specchio dei nostri timori camuffati da mezze misure tra passato e futuro; e non c’è niente di male davvero.

Come in ogni transizione ci vuole estremo coraggio per vivere appieno le innovazioni e abbracciarle in toto; ciò che realmente conta è la coscienza e la sensibilità con la quale vi si approccia.

Infondo forse ha davvero ragione il personaggio interpretato da Verdone: la nostalgia è uno svago per camuffare il nostro terrore per l’ignoto.

Nessun male, anzi: il Gioco è iniziato, affrontiamolo a viso aperto.

Solo vietiamoci la pigrizia e concediamoci l’errore con serenità, altrimenti il futuro che ci stiamo costruendo sarà un avvenire di facili scorciatoie dal quale non si potrà mai imparare nulla.

Prima l’errore.

Poi viene il gioco.

Buon domani.

* articolo comparso sul Blog di AgiFactory il 27 agosto 2020.

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